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Autore: David Hoehl - TNT USA
Pubblicato: Marzo, 2019
Traduttore: Roberto Felletti
Ludwig van Beethoven: The Complete Piano Sonatas
Stewart Goodyear, pianista
Marquis Music 774718151322 (10 CD)
Svuotando la nostra antiquata lavastoviglie, talvolta mi piace fare la seguente battuta a mia moglie: «Sai cosa c'è che non va a casa nostra? Non abbiamo abbastanza tazze per il caffè!» Il senso, come avrete capito, è che ne siamo sommersi; alcune sono state incautamente acquistate perché rispecchiano i nostri hobby, molte altre ci sono state date, nel corso degli anni, come regalo da parte degli studenti di pianoforte di mia moglie oppure da amici benintenzionati (altre ancora non so nemmeno io da dove arrivino; sospetto che le nostre tazze, quando sono al buio, chiuse nella credenza, si incontrino per riprodursi). Nel nostro personale incubo dell'Apprendista Stregone, la scopa, magicamente animata, trasporta l'acqua non con i secchi bensì con le tazze; dozzine su dozzine di tazze da caffè che la scopa depone ai nostri piedi prima di tornare di corsa da dove è venuta, per procurarsene altre.
Proprio come mia moglie ed io abbiamo accumulato una quantità imbarazzante di tazze da caffè, il settore classico dell'industria discografica tende ad accumulare registrazioni su registrazioni di alcuni “cavalli da battaglia”. Probabilmente, l'esempio più famoso del proliferare incontrollato di versioni è costituito da Le Quattro Stagioni di Vivaldi, ma la produzione di Beethoven (le sinfonie, i concerti e, più pertinenti a questo articolo, le sonate per pianoforte, soprattutto quelle con nomi famosi) non è da meno. Curiosamente, molte sonate del maestro non sono mai state disponibili su disco finché Artur Schnabel non incise su cera il primo cofanetto completo, negli anni '30; quel riversamento pionieristico raramente (o mai) è uscito di stampa, e una volta che le transizioni dai 78 giri agli LP prima, e dagli LP ai CD poi, ebbero ridotto i problemi pratici che i cofanetti completi presentavano, le case discografiche recuperarono il tempo perduto, pubblicando cofanetti su cofanetti con nomi sia famosi sia sconosciuti. Alcuni esempi degni di nota sono: Backhaus, Kempff, Nat, Fischer (Annie; il segno lasciato da Edwin nella storia dell'industria discografica è la prima registrazione completa de Il Clavicembalo Ben Temperato di Bach, non un ciclo di sonate di Beethoven), Barenboim, Ashkenazy, Brendel, Arrau, Goode, Bishop Kovacevich...
...e adesso Goodyear.
Sebbene non sia assolutamente un novellino, il pianista canadese Stewart Goodyear è un artista relativamente nuovo sui palcoscenici concertistici mondiali. Le sue credenziali accademiche comprendono trascorsi al Royal Conservatory di Toronto, poi al Curtis Institute of Music di Philadelphia e alla Juilliard School di New York, ma lui ha conquistato il pubblico già prima, eseguendo tutte le 32 sonate di Beethoven una dopo l'altra, in ordine, in un recital svoltosi in un'unica giornata. Secondo quanto lui stesso ha raccontato, il suo amore per la musica e la decisione di diventare un pianista da concerto gli sono venuti ascoltando, a tre anni, il ciclo completo di queste opere sui dischi di suo padre; ha aggiunto «Sapevo che per la mia prima registrazione da solista avrei iniziato con tutte le sonate di Beethoven.»
E così è stato; una serie di sessioni presso il Glenn Gould Studio di Toronto, iniziate a metà gennaio 2010 e continuate, di tanto in tanto, fino all'inizio di febbraio 2012. Alla fine sono stati realizzati 10 CD pubblicati in cofanetto dalla Marquis, un'etichetta canadese, nuova per me ma a quanto pare in attività dal 1981. Strada facendo, la Marquis ha pubblicato due gruppi di estratti: le sonate dalla 13 alla 18 con il titolo Beethoven: The Middle Sonatas e le sonate dalla 28 alla 32 con il titolo Beethoven: The Late Sonatas. Successivamente, Goodyear e la Marquis hanno proseguito con una registrazione delle Variazioni Diabelli, che esula dall'oggetto di questa recensione ma che è ai primi posti nella mia lista dei desideri di Natale.
Naturalmente, quello che in realtà riceverò sarà una tazza da caffè.
Non c'è bisogno di dire che la concorrenza, relativamente a questo monumentale caposaldo della musica classica, è spietata e la domanda sorge spontanea sin dall'inizio: quando possiamo ascoltare le registrazioni di Schnabel, Kempff, Backhaus e simili, perché dovremmo interessarci a un nuovo arrivato di un'etichetta sconosciuta? La risposta si trova in quello che ha detto Artur Schnabel stesso, sebbene in un contesto più ampio: «Io sono attratto soltanto da musica che considero migliore di come può essere eseguita.» Le sonate di Beethoven possono sicuramente essere definite in questo modo; con esse, Beethoven ha lanciato un guanto di sfida a tutti i pianisti che sarebbero venuti dopo. Goodyear andrebbe ascoltato, perché, accettando la sfida, in molte di esse raccoglie il guanto e lo rilancia.
Un corollario alla dichiarazione “migliore di come può essere eseguita” è che nessun cofanetto completo può essere perfetto. Poiché Goodyear, per certi versi, è così grande, cominciamo con i suoi punti deboli. Direi che il più rilevante è la sua interpretazione della sonata Appassionata, l'unico caso dell'intero cofanetto che definirei un “fiasco”. Che ingannevole osso duro può diventare quel fondamento delle sale da concerto! Cerco da decenni la registrazione ideale di questa esecuzione e devo ancora trovarla, sebbene alcune ci siano andate vicino. Il solito problema è costituito dalla coda del primo movimento: coloro che la suonano con passione tendono a ingarbugliarla; coloro che la suonano in maniera pulita tendono ad essere carenti di passione. La pressoché dimenticata Aline van Barentzen (etichetta La Voce del Padrone francese, 78 giri) ci arriva assai vicino, centrando abbastanza bene il punto di quel passaggio insidioso, nel complesso pieno di passione; però, poi, nella coda dell'ultimo movimento fa delle strane pause che rovinano malamente quello che sarebbe stato un acme inesorabile. Arthur Rubinstein (RCA Victor, 78 giri) ha passione da vendere, ma la sua coda del primo movimento è un garbuglio. Anthony Newman (Newport Classics CD), con un pianoforte d'epoca, è entusiasmante e la sua esecuzione può essere considerata la più simile a come l'avrebbe suonata il celebre Beethoven stesso; nella coda del terzo movimento, Newman esagera talmente con lo strumento che le corde tintinnano, ma la registrazione di uno strumento d'epoca è più un supplemento stimolante che una prima scelta. Ho apprezzato Sviatoslav Richter (RCA, CD) e Artur Pizarro (Pentatone, SACD), ma per motivi che non so spiegare, in un certo senso nessuna di queste esecuzioni mi ha convinto del tutto. Che volete farci?
Avendo ascoltato, precedentemente, un paio di altre sonate, nutrivo grandi speranze per le versioni di Goodyear, ma, ahimè, si sono dimostrate infruttuose. L'esecuzione mi ha colpito perché è buona, solida, ma è troppo rispettosa, una vera stranezza in un cofanetto che, diversamente, ha una connotazione del tipo “getta la cautela al vento”. L'esecuzione è certamente pulita - una caratteristica delle esecuzioni di Goodyear è un lavoro di dita immacolato, a volte stupefacente per il tempo che lui adotta - e il tempo è più che stimolante, ma ciononostante l'esecuzione sembra distaccata, niente affatto coerente con le altre esecuzioni contenute nel cofanetto.
Vorrei far notare anche che la confezione del cofanetto è spartana, sebbene valida. I dischi sono inseriti in buste di carta generiche, del tipo di quelle che si trovano nei negozi a pacchi da 100. La custodia esterna è un cartoncino sottile del tipo slip case, decisamente più sottile di quella che, normalmente, togliete quando aprite la confezione di una camicia da uomo nuova. La mia era arrivata già con delle grinze (intendo la custodia, non la camicia - bene, lasciamo le questioni sartoriali fuori da questa storia!). Deluxe o no, comunque ha il pregio di occupare davvero poco spazio sullo scaffale e, almeno, le buste evitano la stupidità dell'adesivo sulle linguette, che è d'intralcio quando si estrae il disco per l'ascolto, come è il caso, per esempio, del cofanetto di Annie Fischer su etichetta Hungaroton.
Per contrasto, sotto molti aspetti il libretto è insolitamente buono. Goodyear, seguendo l'esempio della violinista Hilary Hahn, scrive di suo pugno le note anziché affidare il compito al copywriter della casa discografica; come quelle della Hahn, le sue sono riflessioni personali sulla musica, e rappresentano dei piccoli spaccati articolati, vivaci e interessanti sul pensiero dietro le sue interpretazioni, una rinfrancante alternativa al solito “questa-sonata-apre-con-un-motivo-a-tre-note-seguito-da-uno-sviluppo-di-dieci-battute”, cose di questo genere. Prima delle sue riflessioni c'è un elenco completo delle tracce (che è meglio non perdere, perché sulla custodia esterna non è riportato) e all'interno della quarta di copertina ci sono i crediti e le date di registrazione generali. Ahimè, sebbene sotto molti aspetti gli elenchi siano ammirevolmente esaurienti - si estendono fino a menzionare chi ha fornito il guardaroba e chi ha curato il trucco per le foto dell'artista, disseminate generosamente in tutto il libretto - essi sono privi di un'informazione importante: da nessuna parte è riportato quale/i pianoforte/i Goodyear ha suonato durante le sessioni di registrazione. Cercare sul web non chiarisce del tutto la questione: il nome di Goodyear compare nell'elenco degli artisti Steinway e il sito riporta una frase promozionale dei prodotti di questa azienda leggendaria, ma nel video sottostante, realizzato presso i Glenn Gould Studios all'incirca all'epoca delle registrazioni, Goodyear suona un Baldwin.
Le mie altre preoccupazioni, se così vogliamo chiamarle, rientrano di più nella categoria degli “avvertimenti” che in quella dei “difetti”. Più generalmente, queste esecuzioni rappresentano Beethoven visto da un giovane. Le interpretazioni del pianista non sono a corto di sentimento né mancano di profondità, ma sono veloci, decise e atletiche, il che influenza nel complesso il tempo (più rapido) e fa risaltare ogni contrasto dinamico con grande rilievo. Nel complesso, dallo sfaccettato carattere che Beethoven ha trasferito in questi testamenti personali, Goodyear molto spesso tira fuori il Beethoven aggressivo, il Beethoven dei bruschi contrasti, il Beethoven ribelle che, con la vita che svanisce durante un violento temporale, si siede sul letto all'improvviso, agitando i pugni verso il cielo, per poi ricadere, morto, sul letto. Roba tonificante, coinvolgente, ma probabilmente non per tutti; direi che, probabilmente, le esecuzioni piaceranno di più agli ammiratori di, diciamo, Arturo Toscanini che a quelli di Otto Klemperer. Sospetto che, al primo ascolto, molti potrebbero reagire come ha fatto mia moglie, lei stessa pianista di formazione classica, che ha studiato con un artista di “fama” di una generazione precedente; quando le ho fatto ascoltare il primo movimento di Hammerklavier suonata da Goodyear, lei ha detto «Non so se la amo o la odio. Di sicuro, lui dipinge in bianco e nero, con pennellate molto ampie.»
Penso sia giusto dire che l'approccio di Goodyear va dritto al nocciolo della lingua di Beethoven. Secondo il pensiero “migliore di quanto può essere eseguita”, una scelta così interpretativa inevitabilmente minimizzerà altri aspetti, e questa ne è la dimostrazione: non fingerò che Goodyear dia risalto ai momenti riflessivi, tranquilli e divertenti di Beethoven, come fanno altri pianisti. Questi sono minimizzati o, peggio, del tutto assenti? No. Le interpretazioni di Goodyear sono serie e neutre? No. Tuttavia, queste qualità sono aspetti importanti di ciò che ha mantenuto la musica di Beethoven al centro del repertorio standard per oltre 200 anni ed esse tendono a non essere l'obiettivo delle esecuzioni di Goodyear. Per esempio, il veloce tempo di Goodyear e la diteggiatura precisa rendono il primo movimento della Sonata n.25 in Sol maggiore, op. 79, qualcosa di davvero scintillante, ma alla fine il pianista glissa sull'astutamente dissonante ripetizione del primo tema, uno di quei casi in cui Beethoven, chiaramente, suonava per divertimento. Negli anni '80, per alcune settimane la National Public Radio trasmise un ciclo completo delle sonate di Beethoven, nel corso del quale vari pianisti si esibirono suonandone alcune ciascuno. Non ricordo a chi toccò l'op. 79 - un giovane Richard Goode, forse? - ma chiunque fosse concluse il terzo movimento con un leggero rallentando, suscitando un udibile “aaaahhh” di appagamento una frazione di secondo prima che il pubblico scoppiasse ad applaudire. La versione meno rilassata di Goodyear è vivace, tagliente, stimolante - in breve, a modo suo, deliziosa e fedele allo spirito di Beethoven - ma direi che la sua nota finale, leggermente troncata, sebbene in carattere, non suscita una risposta simile.
Alcuni recensori precedenti si sono lamentati del suono registrato di questo cofanetto, ma io non capisco perché, tranne per il fatto che, anziché essere stipati nella cassa del pianoforte, contro le corde, i microfoni sembrano essere stati posizionati abbastanza lontano dallo strumento, in modo che il suono potesse amalgamarsi naturalmente con un po' di atmosfera dell'ambiente. Al mio orecchio, il risultato è caratterizzato da molta immediatezza ma senza eccessiva brillantezza, impatto che trasmette il deciso attacco del pianista senza trasformarlo in una sgradevole percussività. Goodyear non esita a riprodurre l'ampia dinamica di Beethoven. Inoltre, egli non mostra alcuna paura di discostarsi dagli ammonimenti dei pedagoghi, secondo i quali “le note alte devono essere sempre più alte di quelle basse”, e tira fuori il basso quando è opportuno, dimostrando, una volta per tutte, quanto tirare fuori il basso sia opportuno con musica di questo tipo. I tecnici del suono sono riusciti a catturare entrambi gli aspetti della sua arte con pieno successo.
Vi prego di contenere la vostra delusione, ma non ho intenzione di scrivere una valutazione dettagliata di ogni sonata. Invece, ne sceglierò alcune per darvi un'idea di quello che ritengo essere un cofanetto notevole. Abbiamo già parlato dell'Appassionata; ecco le mie impressioni di alcune altre.
N.3 in Do maggiore, op. 2
Questa composizione giovanile trova Beethoven ancora dimorante nel mondo della musica classica con la C maiuscola, ma i semi di ciò che riteniamo “Beethoveniano” stanno già germogliando, e Goodyear, enfaticamente, sottolinea il contrasto tra i due mondi. Nel primo movimento, il preciso e chiaro lavoro di dita di Goodyear, dal tono brillante, rende il suono dei passaggi assai simile allo stile di Haydn (con il quale, dopotutto, Beethoven studiò in quel periodo), mentre il suo acuto senso della dinamica sottolinea tutte le curve e i risvolti, nonché i “passaggi energici”, che preannunciano il Beethoven famoso del “periodo di mezzo”. Nel secondo movimento, Goodyear mostra di essere abbondantemente capace di tenerezza quando vuole, e di nuovo la sua interpretazione si colloca con un piede nel mondo Classico e con l'altro in quello del Beethoven più tardo. Lo scherzo è puro, Beethoven è esplosivo, c'è poco di “Classico” in esso (sebbene lo ascolti ancora occasionalmente, Tchaikowsky estrasse deboli echi di alcuni pezzi di Mozart bambino nel comporre la sua suite Mozartiana); il quarto movimento, nelle mani di Goodyear, diventa qualcosa di vivace, con un interludio piacevole, lirico, ma sempre in movimento, come il vento. Nel complesso, Goodyear dimostra che la terza sonata è a pieno titolo un membro della famiglia, non solo un lontano antenato il cui polveroso ritratto resta appeso tra le stampe di caccia e i dipinti di paesaggi nel salotto dell'op.31.
N.15 in Re maggiore, op. 28 (“Pastorale”)
Ecco un buon esempio di ciò che intendevo descrivendo l'approccio di Goodyear come il primo del Beethoven aggressivo non privo di sentimento. In questa sonata, che porta alla luce il lato tenero di Beethoven, Goodyear raggiunge un piacevole senso di delicatezza e calore. Come accade spesso in questo cofanetto, il suo acuto senso della dinamica, l'immacolato e lindo lavoro di dita e il tono, chiaro ma mai percussivo, con la robusta proiezione delle linee di basso quando è opportuno, qui servono l'artista molto bene, permettendogli di collocare la tranquillità lirica della sonata all'interno di un contesto strutturale robusto. Pertanto, delicatezza e calore, ma all'interno di quel guanto di velluto c'è decisamente una mano di acciaio. Nelle sue note, Goodyear descrive lo scherzo come un esempio rimarchevole dell'umorismo di Beethoven, ed egli tira fuori quell'aspetto, anche se, forse, non così chiaramente come altri che ho ascoltato. D'altro canto, nell'ultimo movimento egli proietta chiaramente le piccole alte melodie che probabilmente rappresentano i cinguettii degli uccelli, non sempre così evidenti in altre registrazioni, e la sua galoppata alla fine della coda è positivamente estasiante.
N.25 in Sol maggiore, op. 79
Permettetemi di aggiungere un breve chiarimento a quello che ho scritto sopra su questa sonata. L'interpretazione di Goodyear del primo movimento, Presto alla tedesca, all'inizio mi ha colpito perché mi sembrava molto veloce. Immaginate la mia sorpresa quando, confrontata con varie altre registrazioni, ho scoperto che il suo tempo ricade più o meno nel mezzo. Rispetto a Goodyear, che impiega 4 minuti e 29 secondi, Artur Schnabel, per esempio, impiega 4 minuti e 53 secondi e Gerard Willems impiega 5 minuti. Rispetto a quello della Fischer, il tempo di Goodyear sembra molto più veloce di quanto una differenza di dieci secondi farebbe pensare. Ritengo che qui abbiamo una bella dimostrazione di un'osservazione di Harvey Sachs, nella sua biografia di Arturo Toscanini, secondo la quale, a parità di tempo, suonare in maniera perfettamente uniforme dà l'impressione che il suono sia più veloce di quando si suona in maniera non così uniforme. Annie Fischer non se la cava male, ma il lavoro di dita di Goodyear, in tutto il ciclo, è stupefacente.
N.26 in Mi bemolle maggiore, op. 81a (“Gli Addii”)
È il momento di una terribile confessione: questa sonata, nonostante il fascino della trama che c'è dietro, non mi ha mai entusiasmato nei circa 40 anni trascorsi dal mio primo (all'epoca favorevole) incontro con essa, nel cofanetto a 78 giri di Arthur Rubinstein, del 1940. Secondo me, la forza duratura di Beethoven sta nella capacità di confezionare forti emozioni in forme astratte, ed essa soffre quando confinata da un programma definito - essere testimone degli sforzi del compositore per portare il Fidelio in forma fattibile. Certamente, la sinfonia Pastorale funziona, ma la sua “trama” è più un contorno generale dentro il quale il compositore può riversare il suo amore per la natura. In questa sonata, per contrasto, la storia è rigidamente definita come “L'amico del narratore parte per un viaggio; al narratore manca il suo amico; il narratore si rallegra quando l'amico ritorna.” Molto più concreto di, diciamo, “Risveglio di sentimenti lieti all'arrivo in campagna,” e quindi molto più restrittivo. Ciononostante, Goodyear rende questo lavoro una delle vette più alte del suo ciclo. Egli permea il primo movimento con un reale senso dell'affrettarsi del partecipante nel cercare di prepararsi per un lungo viaggio, e se (come sottolineato sopra) il “tenero desiderio” non sempre è il suo pezzo forte, egli compensa con l'intensità che trasmette l'ansia della separazione in un'epoca in cui le comunicazioni erano pressoché inesistenti e il viaggio era pieno di incertezze, se non del tutto pericoloso. Tuttavia, Goodyear conserva il meglio alla fine: nelle sue mani, il movimento finale, preso a tutta velocità e sfruttando la dinamica di Beethoven ogniqualvolta merita, comunica gioia ed entusiasmo travolgenti meglio di ogni altra interpretazione abbia ascoltato. Questa esibizione eleva un pezzo che fatica a farcela al rango del primo cassetto - un bel traguardo.
N.29 in Si bemolle maggiore, op. 106 (“Hammerklavier”)
Se, per qualche ragione, potete ascoltare solo una registrazione del cofanetto di Goodyear, fate in modo che sia questa. Nelle sue note, Goodyear osserva: «Nessun'altra sonata ha ispirato così tante discussioni, analisi e dibattiti quanto questa. È stata definita l'Everest delle sonate, la ricerca a tutti i costi dell'Elisio, una scalata talmente ripida e imponente che i semplici mortali non possono nemmeno avvicinarvisi. [...] Pressoché tutto di questa sonata incoraggia spargimenti di sangue tra musicisti, la cosa più grande essendo le marcature del metronomo nella partitura. Il primo movimento è marcato mezza-nota=138, una marcatura ritenuta da molti del tutto ridicola.» (Per coloro che non sono esperti di queste cose, quella marcatura è estremamente veloce per musica di una tale densità e complessità). Non c'è bisogno di dire che Goodyear non ricade in quel campo; prende Beethoven alla lettera e suona il primo movimento al tempo specificato; la sua combinazione di folgorante velocità e tecnica impeccabile deve essere semplicemente ascoltata per essere creduta. I risultati musicali sono una giustificazione sufficiente, ma Goodyear, compositore lui stesso oltre che pianista, offre un'interessante prospettiva sul perché, in realtà, quella controversa marcatura del metronomo ha senso: «[Essa] è corretta, se pensiamo al movimento come un omaggio a un movimento di un concerto barocco e non al 'Monte Everest'. Il movimento comincia con una fanfara, seguita da un dialogo tra voci, o strumenti, che conduce a un'altra fanfara a piena orchestra. Questo è molto simile a come un Bach o un Vivaldi avrebbe composto il primo movimento.» Naturalmente, l'ascoltatore deve prendere una decisione (vedere il commento di mia moglie, sopra), ma questo ascoltatore noterebbe che altri hanno sottolineato il carattere orchestrale della composizione, e Beethoven è noto per aver imparato, in gioventù, l'intero Clavicembalo Ben Temperato di Bach e per aver ammirato i compositori del periodo barocco, in modo particolare Händel. E che dire degli altri movimenti? Goodyear prende il piccolo scherzo a un tempo abbastanza convenzionale, circa dieci secondi più veloce rispetto a Annie Fischer e circa dieci secondi più lento rispetto a Friedrich Wührer nella registrazione del 1952 che avevo consigliato subito prima della pausa estiva di TNT-Audio, ma le incisive dita di Goodyear pagano dividendi extra, qui. Anche la fuga è veloce, 10 minuti e 35 secondi contro gli 11 minuti e 25 secondi della Fischer e i 12 minuti e 4 secondi di Wührer; ma anche questo confronto è ingannevole, perché Goodyear si sofferma più a lungo sull'“introduzione improvvisata”, che lui semplicemente definisce “assoluta magia”. Pertanto, una volta che lui si lancia correttamente nella fuga, il suo tempo è ancora più veloce di quello che sareste portati a credere. Darei la corona a Goodyear per l'introduzione, senza riserve; lui la rende davvero magica, sebbene, in tutta sincerità, la sua registrazione, più moderna, lo aiuta. Per quanto riguarda il corpo del movimento, sia Goodyear sia Wührer ne danno un'interpretazione potente, con spinte in basso; facendo un'analogia imprecisa, quella di Goodyear corrisponderebbe a una potente e veloce auto sportiva, mentre quella di Wührer sarebbe una pesante, potente locomotiva a vapore. Goodyear parte in quarta, ma Wührer guadagna implacabilmente terreno a mano a mano che sviluppa vapore. La potenza di Goodyear si manifesta con l'agilità, quella di Wührer con la massa. Ciascuna interpretazione porta l'ascoltatore nella propria forma di viaggio fantastico, e ciascuna è trascinante a modo suo.
A questo punto, i lettori attenti si saranno domandati: “E per quanto riguarda il terzo, lento movimento? Quello che molti definiscono il cuore del pezzo? Non ne hai parlato.” Ah, è qui Wührer si vendica. L'interpretazione di Goodyear non è per niente immatura, fredda, incurante o indigesta; egli vede il movimento come «pura angoscia... Tutti gli elementi della sofferenza umana sembrano essere racchiusi in questo movimento...» Sicuramente, egli fa del suo meglio per trasmettere questo suo punto di vista, e lo fa con un certo successo. Probabilmente, lo dimostra il fatto che egli scrive parecchio sul primo e sull'ultimo movimento, ma soltanto un paio di frasi su questo; io penso sia giusto dire che l'interpretazione di Goodyear di questo pezzo come un tutt'uno trova le sue basi nei movimenti esterni. Per contrasto, il movimento lento è la gloria dell'interpretazione di Wührer, profonda, riflessiva, tranquillamente - o non così tranquillamente - emozionale. La musica acquista valore esattamente per le caratteristiche che erano la forza di Wührer, iniziando con un ricco e caldo suono di pianoforte. Le armi migliori di Goodyear - la sua atleticità, la sua diteggiatura tagliente, la sua sensibilità per i contrasti dinamici e le svolte e le pieghe nello sviluppo - certamente non sono fuori posto, ma secondo me non sono così adatte, in maniera innata, ai bisogni di questo movimento come nel caso di Wührer, le cui radici affondano nel Romanticismo (con la R maiuscola). Vi prego di non fraintendermi: non sto denigrando Goodyear in alcun modo, ma io sto suggerendo che in questo segmento di questo lavoro estremamente complesso, Wührer ha qualcosa di molto speciale da dire ed essenzialmente si avvicina molto a Goodyear.
Come probabilmente avrete capito, sono più che entusiasta di questo cofanetto. Quindi, quest'anno, se state pensando al regalo perfetto da fare a voi stessi oppure a un amico o a un familiare che ama la musica, perché non pensare a qualcosa di un po' audace? Evitate la solita tazza da caffè e acquistate invece una copia di Stewart Goodyear che suona Beethoven, uno degli estratti pubblicati singolarmente (se dovete scegliere, un po' riluttante direi il cofanetto delle “ultime” sonate, che comprende la sua incandescente Hammerklavier) oppure, se vi sentite generosi, magari l'intero ciclo di sonate. A lungo termine, probabilmente, si dimostrerà una bevanda più inebriante di quella che può essere estratta dal più tostato dei chicchi di caffè, e non ci sarà nemmeno bisogno di risciacqui nel lavello della cucina dopo ogni uso.
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