The Dave Brubeck Quartet “Time Out”

Un'incisione in 360 Sound del 1959 che suona incredibilmente attuale!

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Author: Lucio Cadeddu - TNT Italia
Published: Marzo, 2023

[The Dave Brubeck Quartet's Time Out]

Persino se il jazz non è nelle vostre corde sicuramente conoscete il brano “Take Five” del Dave Brubeck Quartet, visto che è stato utilizzato spesso in jingle, spot, documentari nonché oggetto di illustri cover sin dal 1959. Il brano diventò molto rapidamente il singolo jazz che ha venduto di più in tutti i tempi, persino introdotto nella Grammy Hall of Fame nel 1996. In altre parole, è un brano che conoscono veramente tutti. Quel che è meno noto è che non è stato Dave Brubeck a comporlo, ma il sassofonista del suo quartetto, Paul Desmond, creando la melodia per la base ritmica nello strano tempo di 5/4 (da qui deriva il titolo del brano). Brubeck ha poi curato gli arrangiamenti del tutto. Il brano, in realtà, doveva essere un semplice assolo di batteria di Joe Morello, in 5/4, ma è diventato il brano più conosciuto della storia del jazz.

La traccia faceva parte del disco “Time Out” pubblicato, sia in versione mono che stereo, dalla Columbia nel 1959. La versione stereofonica era stata registrata con la famosa tecnica 360 Sound della Columbia, una sorta di stereofonia “aumentata”, realizzata con riprese microfoniche molto vicine agli strumenti con all'aggiunta di riprese dell'ambienza della sala (più riverberi) dove è avvenuta la registrazione. Lo scopo era quello di ottenere un suono non solo di alta qualità ma grande e di ampio respiro.

Esistono tante versioni diverse di questa registrazione, alcuni sostengono che l'LP originale stereo fosse il migliore, altri che la versione SACD sia insuperabile, altri ancora che i CD ottenuti con il sistema Ultra HD 32-Bit Mastering suonino meglio di qualunque altra edizione. Esistono, tra l'altro, anche i file in DSD ad altissima risoluzione, file PCM 24/192 etc. Io, però, preferisco parlarvi della versione CD standard (codice CK 65122), che costa poco (dai 5 ai 10€) e che, in barba a tutte le altissime risoluzioni, suona non bene, ma benissimo.

È un remaster a 20-bit e standard HDCD (anche se non appare nelle note di copertina) realizzato da Sony (Columbia/Legacy, in realtà), e che vede come produttore Russell Gloyd, e come ingegnere del remastering il famoso Mark Wilder il quale, di recente, è stato insignito del dCS Legends award per l'eccellenza nella produzione di dischi. E il marchio dCS, in campo digitale, è sinonimo di qualità sonora al top.

La faccio semplice: se state pensando che una registrazione del 1959 suoni sporca, compressa, rumorosa, distorta e con un'estensione in frequenza limitata, allora questo CD vi farà ricredere. A un primo ascolto ho pensato si trattasse di una registrazione moderna, dove a suonare c'era qualcun altro e non il Dave Brubeck Quartet. Certo, ad alto volume un po' di soffio del master originale si sente (ma veramente trascurabile) e sì, forse il pianoforte è leggermente più indietro rispetto agli altri strumenti ma, credetemi, qui si viaggia su livelli alti anche per gli standard attuali. Non è una registrazione perfetta, ma è coinvolgente come poche.

La dinamica è elevata (basta ascoltare la parte di batteria di “Take Five”, per esempio) e lo spettro delle frequenze presenti è ampio, dal basso più profondo agli armonici più scintillanti dei piatti. È una registrazione così convincente che la utilizzo spesso nelle mie sessioni d'ascolto quando devo recensire un componente HiFi.

Due parole vanno però spese sul famoso/famigerato sistema 360 Sound (suono a 360°), con la sua spazialità un po' artificiale. Non dimentichiamo che siamo quasi agli albori della stereofonia (l'LP originale era infatti disponibile anche mono) per cui i tecnici di allora hanno cercato di sfruttare questo nuovo sistema al massimo delle sue possibilità, o così pensavano. Pertanto, gli strumenti sono spostati su un canale o sull'altro in modo non troppo realistico. In “Take Five”, ad esempio, la batteria (specie i piatti) suona più sul canale sinistro che su quello destro, il sax è più o meno al centro (cambia un po' posizione a seconda delle tracce), basso sostanzialmente al centro, piano un po' sulla destra, talvolta indietro. Non si tratta del terribile effetto ping-pong di certe incisioni stereo di pop e dance, ma di sicuro la disposizione degli strumenti nel palcoscenico è un po' strana, rispetto ai migliori standard attuali.

Nonostante ciò, ritengo questa incisione estremamente godibile e, perché no, anche realistica, pur con tutti i distinguo del caso. Si può ascoltare a volumi molto elevati, perché la distorsione è bassa e con l'aumentare del volume il divertimento aumenta, perché sia la musica che i suoni sono incredibilmente...groovy, trascinanti.

Si narra che le incisioni 360 Sound fossero realizzate alcune con componenti a valvole, altre con componenti a transistor. Si stava vivendo l'era della transizione tra questi due sistemi. E si dice che la presenza di sei occhi Columbia nell'etichetta del disco stesse a significare che quella registrazione era stata fatta tramite componenti a valvole, e solo due occhi identificavano le incisioni “a stato solido”. In realtà non esiste, per quanto ne sappia, una prova certa di questa distinzione. E, francamente, mi importa poco, perché questo disco, del 1959, fa barba e capelli a tantissimi dischi jazz moderni.

Dettagli dell'album:

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